Può capitare di desiderare di lasciarsi andare a una coccola, a un abbraccio, a un tocco che rassicuri e che dia conforto. È un moto di regressione infantile, che chiede calore e accudimento, una richiesta tacita di sicurezza. Ci si affida a una persona che ci dà fiducia e da cui speriamo di ricevere pace. Per tutto questo esiste una parola giapponese: amae.
In Giappone amae è la parte riconosciuta di una relazione, sia essa affettiva-familiare, amicale o professionale, sebbene vi siano sfumature diverse. Quando un bambino o una bambina fa qualche moina, usa la voce in falsetto e sgrana gli occhi, sta agendo in maniera amaeru, ossia sta chiedendo aiuto o conforto, senza sentire di dover ricambiare. In italiano potremmo definire questo comportamento capriccioso o viziato, ma in Giappone non è propriamente o solo così. In Giappone l’amae è una modalità di comportamento verso cui si porta rispetto.
Lo psicoanalista Takeo Doi definisce l’amae un’emozione che dà per scontato l’amore dell’altra persona. È un ritorno all’accudimento infantile, un ritorno a una fase esistenziale in cui c’era posto per lo stare con amore incondizionato. Ci si sente vulnerabili e si cerca rifugio in chi sappiamo possa darcelo. Pur essendo persone autonome, possiamo riconoscere, in un determinato momento, di aver bisogno del sostegno degli altri e lo ricerchiamo, senza che ci si senta in obbligo ricambio o restituzione. Si sente la necessità di cercare una figura autorevole, che possa prendersi cura di noi. Doi spiega che amae è il sostantivo del verbo amaeru, che significa «dipendere e presumere la benevolenza di un’altra persona», contare sulla buona volontà di una persona, sentirsi indifeso e desiderare di essere amato, richiedere accondiscendenza nei propri confronti. Questo porta a un certo grado di dipendenza dagli altri, che non è incapacità di esseri del tutto autonomi.
Amae e amaeru definiscono in Giappone un’area di studio sulle emozioni nelle relazioni. Difficile darne una traduzione occidentale, non solo per scarti linguistici, ma anche per differenze sociali e culturali tra le due civiltà. La conoscenza di quest’area e lo studio psicoanalitico che ne è stato fatto, soprattutto a opera di Takeo Doi, possono tuttavia aprire possibilità interpretative anche sulle modalità di relazione nel mondo occidentale. La spinta verso l’autonomia relazionale può perdere in parte forza, se è riconosciuta, con il dovuto rispetto e senza strascichi manipolativi o opportunistici, la necessità di dipendere dalla benevolenza altrui.
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