Nell’Episodio 9 dell’Ulisse, James Joyce scrive la frase ormai nota: Un uomo di genio non commette errori. I suoi errori sono intenzionali e sono i portali della scoperta.
Ci si potrebbe soffermare solo al significato dell’ultima parte, ai portali della scoperta, ma si può scomporre la frase, per averne maggiore vantaggio.
Un uomo di genio: è chiaro che qui la parola uomo sta per essere umano dotato di capacità di riflessione, analisi, introversione; un essere umano che osserva le azioni, proprie e altrui, che non teme le emozioni e i sentimenti, che ha capacità di cambio di prospettiva e di messa in discussione; un essere umano, infine, che sa leggere la vita oltre la linearità materiale.
Non commette errori: ogni essere umano sperimenta l’errore, nelle decisioni, nelle azioni, nelle parole, nella comunicazione, impossibile non fare errori, ma, Joyce scrivendo non commette errori afferma qualcosa che ci pone in allerta, prospetta una realtà che non è comunemente condivisa, dal momento che noi vediamo e viviamo errori commessi da noi, con conseguenze sugli altri, e commessi da altri, con conseguenze su di noi.
I suoi errori sono intenzionali: prima afferma qualcosa che va contro l’opinione comune, subito dopo spiega la motivazione della sua dichiarazione, sostenendo che errori se ne commettono, ma che contengono al loro interno una intenzione, e, in quanto tali, non sono sfuggiti all’attenzione. L’intenzione dà il senso a ciò che compiamo, indirizza le nostre azioni, il nostro dire, e pertanto, se poniamo attenzione, se c’è osservazione del gesto, della parola, non c’è l’errare, da cui deriva la parola errore, non c’è un vagare senza comprendonio, c’è un atto commesso con coscienza. In tal senso ciò che a posteriori potrebbero essere valutati come errori non lo sono, perché al loro interno l’intenzione aveva attivato la direzione dell’agire. Un’azione o una parola è reputata errore solo a posteriori, per gli effetti disagevoli che attiva.
E sono i portali della scoperta: la parola portale è usata come un varco, un archetipo dell’immaginario umano, che si apre e che, se percorso, porta alla dimensione della scoperta: compio un gesto che nella mia intenzione non vuole danneggiare nessuno, né me né gli altri, che prende una direzione differente da quella da me pre-meditata e che pertanto mi traghetta a una terra sconosciuta. Lo sconosciuto mette in atto l’istinto della scoperta, vado a scoprire quello che non conosco e che non so.
Interpretando l’errore secondo questo ragionamento, possiamo sentirci liberi dalla sconfitta. Commetto un’azione o dico una parola che nel tempo futuro risulta essere un portale per scoprire qualcosa che senza quell’azione o quella parola non avrei mai scoperto. Ciò significa, facendo un ulteriore passo, che se pongo intenzione nel mio muovermi nel mondo sarò sempre in una posizione di scoperta di ciò che non conosco, mi sottrarrò al giudizio, non cadrò nel dualismo del buono/cattivo, giusto/sbagliato, bene/male, avanzerò sperimentando.
Chi decide di fare propria questa frase, subito cambia tutto il significo della propria vita, passata e futura; quella presente è racchiusa nell’intenzione che dirige il muoversi e il comunicare.