Il counselling è come il viaggio dell’eroe. Vedo la persona che viene da me per chiedere aiuto come un eroe o un’eroina. Un eroe che ha avuto un imprevisto, un evento che ha fatto virare dalla strada maestra, facendo perdere la direzione. So già che ha lasciato la sua casa, dove aveva punti di riferimento e sicurezza, e si sta addentrando in luoghi sconosciuti. Come in fiabe, racconti e film, l’eroina si imbatterà in pericoli, affronterà mostri e foreste buie, incontrerà fate anelli o animali totemici che la aiuteranno a superare prove difficili. Nel viaggio delle persone che vengono da me, per chiedere aiuto, io sono la persona che le accompagna, sto accanto, le aiuto ad aprire portoni, a uccidere paure personificate. E le accompagno fino alla punta del monte più alto o nell’abisso più profondo, dove l’eroe si rispecchia e si vede e scopre anche di avere delle pozioni magiche da lui stesso fabbricate che lo portano a superare il punto di crisi, quello di non ritorno, dove o si muore o si rinasce, superato il quale potrà riavviarsi verso casa, una casa più colorata e ariosa, con giardino e persone che lo accolgono.
A quel punto il mio compito sarà finito.
Il counselling, risposta professionale per operatori sociali, che negli Stati Uniti, intorno agli anni Venti del Novecento, aiutavano i reduci di guerra a recuperare le capacità di reinserimento nella società e di re-intreccio delle relazioni affettive, è arrivato in Europa intorno agli anni Ottanta del secolo scorso, .
I percorsi di counselling hanno colorazioni diverse: sistemico-relazionale, gestaltiano, filosofico, arte-terapico, spirituale, energetico, ecc. Io ho seguito quello base, il counseling di uno dei padri della psicologia umanista, Carl Rogers, che credeva nell’accettazione incondizionata, nell’empatia, nella tendenza attualizzante, nella congruenza e autenticità del counselor. Mi affascina la fiducia senza limiti che Rogers aveva per le persone, il riconoscere in loro le potenzialità per trovare le soluzione ai problemi di vita, la forza di rialzarsi e di riprendere il proprio viaggio.
Negli incontri individuali, ogni volta che inizio un percorso con una persona che arriva da me con una domanda: che lavoro voglio fare, dove sta andando il mio matrimonio, come chiudo una relazione, come posso recuperare il dialogo con mia figlia, come superare la morte di mio padre, e così ancora, ogni volta dunque che una persona si siede di fronte a me e mi racconta, mi accosto con il dovuto rispetto che penso si debba avere verso una vita che si apre. In fondo sia lei sia io non sappiamo dove saremo a conclusione degli incontri, di sicuro dovremo addentrarci in territori sconosciuti per entrambi.
Porto con me vari strumenti di lavoro: la parola innanzi tutto, la parola detta e quella nascosta, e poi senz’altro la parola scritta, che tanto aiuta a trovare le altre storie di vita, che per fatica e pigrizia dimentichiamo, preferendo racconti usurati da narrazioni sempre uguali a se stesse; e poi c’è il disegno, libero e intuitivo, la musica per semplici movimenti corporei, o l’argilla, quando i sensi sono silenti da tempo.
Il tempo degli incontri può avere cadenze diverse: ogni settimana, ogni due, una volta al mese, e tra un incontro e l’altro non mollo l’osso, invito alla scrittura e alla lettura, o alla visione di un film. Tutta la realtà che ci circonda ci parla, l’attenzione va riportata a lei, perché specchio del mondo interiore.
Quando mi chiedono che lavoro fai, spesso ora rispondo: accompagno le persone a riprendere in mano la loro vita.
*Per correttezza di genere, uso alternativamente la parola eroe o eroina per riconoscere in uomini e donne, alla stessa maniera, la forza della lotta e il coraggio dell’avventura.