Attenzione: l’articolo presenta rivelazioni di un film.
Ancora prima che sorgesse il sole, Antonia seppe di avere i giorni contati, ma sapeva anche di più. Sapeva che quello sarebbe stato il suo ultimo giorno, non perché si sentisse poco bene, ma perché a differenza di tanti altri, Antonia sapeva quando è il momento di fermarsi.
È la voce narrante che apre L’albero di Antonia, un film del 1995, diretto da Marleen Gorris, premio Oscar per il miglior film straniero.
Racconta la storia di Antonia, una donna che dopo la Seconda Guerra mondiale torna nel suo paese dei Paesi Bassi, insieme alla figlia Danielle, adolescente. La vicenda si sviluppa per quarant’anni, durante i quali le due donne creano una famiglia allargata, di forma matriarcale. In quei quarant’anni accade la vita, periodi di gioia e di nascite si alternano a periodi di morte e dolore. Il tono del film è leggero, non ci sono sdolcinature. Le donne sono esplicite nelle loro scelte e determinate anche nello stare nei ruoli di una società contadina aspra, i cui momenti di maggior allegria sono i pranzi della domenica, condivisi tra famiglie diverse.
Antonia sa come muoversi, anche nell’affrontare il male che trancia l’innocenza della nipote; è aperta ad accogliere il diverso, lo scemo del paese e la ragazza di cuore con deficit cognitivi; stabilisce regole di amore non vincolato dal matrimonio, ma non per questo privo della felicità del sesso. Antonia sa come va la vita, fino al suo atto finale, la morte.
La struttura del film è circolare. La frase che apre questo articolo e l’incipit sono ripresi nel finale, con altri particolari e con i personaggi riuniti intorno alla protagonista.
A differenza di tanti altri, Antonia sapeva quando è il momento di fermarsi.
Questa è la frase rimasta nella mia mente in tutti questi anni. Fermarsi quando si sente che è il momento. «Chi non lo vorrebbe? Ora è tempo, ciao a tutti, vado.», si potrebbe facilmente dire. Tuttavia, fermarsi a riflettere su questa frase è un tranello, in quando la nostra mente scivola nel: «E beh, sì, sarebbe bello, ma non è reale, è una frase di film. Magari si potesse…». In questo modo ci sbarazziamo dell’argomento e ci distraiamo.
Non è questo il punto, il punto è ricordare che la morte è nella vita. Questo è un tema del film, (l’altro è il matriarcato). Non allontanamento della morte, ma considerazione della morte come momento dell’esistenza. È un punto di vista del tutto dimenticato nella nostra società occidentale ricca. Non c’è riflessione, non si sta in gruppo, tra amici, a parlarne, a discuterne insieme, ascoltando le considerazioni altrui, a condividere le paure o le felici intuizioni.
Il dialogo finale tra Antonia e la pronipote, Sara, è una dichiarazione di onestà di vivere e di coraggio di morire:
Sara: Non ti senti bene?
Antonia: Sto per morire.
Sara: Subito?
Antonia: Oggi. Ti avevo promesso che te lo avrei detto. Ti ricordi?
Sara: È brutto.
Antonia: Sì, non è facile. Va a chiamarli. Va’, Sara. Aspetterò che tu torni. Sta’ tranquilla, te lo prometto.
Quel giorno Antonia avrebbe chiamato al suo capezzale le persone che le erano più care, e le avrebbe informate che la sua morte era imminente. Avrebbe chiuso gli occhi e sarebbe morta.
Questo film è un inno alla vita. Cercatelo, guardatelo, anche più volte, è delicato e sincero, ha tocchi ironici, vale la pena.
E nell’attimo in cui tutto finisce, niente finisce…