Ti racconto

Polaroid@3 – Il suo marinaio

Per qualche giorno Teresa riuscì a non andare a lavoro e visse come su barca spinta da Grecale. Tornò a pensare al suo marinaio, che le aveva insegnato a riconoscere i venti, Baffi neri, occhi neri, un piede, il destro, leggermente in dentro, labbra morbide, pescava totani, se ne andava a mare di notte e Teresa riconosceva la sua lampara tra le tante che formavano cerchio in mare. Il suo marinaio usciva anche quando sapeva che non era cosa, che la luna diceva che non ne avrebbe trovati di pesci, usciva lo stesso, uniche ore della giornata in cui respirava. Gli aveva scritto tante lettere, Teresa, di amore e di vita sua; lui le aveva mangiate quelle sue lettere, ché non sapeva dove conservarle; non sarebbero arrivate risposte e lei non le aspettava. Gli scriveva, ma il suo marinaio la capiva nello scarto di parole. Quando sei arrivata, quando te ne vai? Viaggio di andata e ritorno per incanto di destini che saltuariamente si incrociavano. A parlarsi non si capivano, ingarbugliavano i sentimenti con le parole, e così restavano zitti. La presenza del suo marinaio era viaggio in un mondo che appariva solo in riva a quella spiaggia, solo accanto a quell’uomo di mare, con cappellino e senza orologio. Li attraeva l’essere fuori posto. Si ritrovavano senza cercare la via di uscita, sapevano che il mondo li vedeva stonati e non si sforzavano, da quando erano diventati più vecchi, di accordarsi al mondo. Si sedevano sulla riva, con le loro solitudini che non si toccavano né si quietavano; si facevano compagnia.

Potrebbe anche interessarti...